L’articolo 21 del DPR 633/72, il Testo Unico IVA, alla lettera g) del comma 2 stabilisce che la fattura deve contenere “natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell'operazione”.
Nonostante la formulazione sintetica, quello stabilito è il principio dell’analiticità della fattura, che discende direttamente dall’articolo 226 punto 6 della Direttiva UE 2006/112 (che stabilisce gli elementi essenziali del documento in questione), in assenza del quale la fattura si può definire generica, condizione che costituisce grave irregolarità.
Della questione si è occupata, con un certo livello di analiticità, la recente ordinanza numero 37209 della Corte di Cassazione, del 29 novembre 2021, che fornisce numerosi spunti per inquadrare il problema e proporre soluzioni.
Stabilito il punto che una fattura, per potersi considerare regolare, deve essere analitica, affrontiamo il problema della fatturazione di quei servizi o quelle opere così complesse che, per la loro natura, difficilmente possono essere analiticamente descritti nello spazio nel corpo del documento.
Per la soluzione ci viene incontro la Corte di Cassazione precisando che “l'amministrazione finanziaria non si può limitare all'esame della sola fattura, ma deve tener conto anche delle informazioni complementari fornite dal soggetto passivo”; in considerazione di ciò, incombe su chi emette il documento in modo generico fornire adeguata documentazione a supporto, ma, in linea di principio, è possibile trasferire la risposta al requisito dell’analiticità della fattura dalla sua descrizione ai suoi allegati.
Tradizionalmente, da giurisprudenza e prassi, ad esempio, viene considerata conforme la descrizione generica di una fattura che fa riferimento a un contratto, allegato al documento, sul quale il bene o il servizio è descritto in modo dettagliato; ma il concetto di documentazione a supporto dell’analiticità può essere inteso in senso esteso, in base alla capacità di tale documentazione di rispondere ai requisiti descrittivi richiesti dalla normativa.
Più complessa è la questione in relazione alle conseguenze dell’emissione e della contabilizzazione di una fattura generica: anche in questo caso ci viene in soccorso la Corte di Cassazione, con l’analisi effettuata nell’ordinanza prima citata.
Una fattura con descrizione generica, come tale priva degli elementi essenziali richiesti dall’articolo 21 del DPR 633/72, rappresenta un documento con gravi irregolarità, non idoneo a documentare analiticamente il costo sostenuto dall’impresa: in assenza di ulteriore documentazione a supporto, viene meno “la presunzione di veridicità” di ciò che documenta la fattura.
La conseguenza principale è che la contabilizzazione di un tale documento irregolare, puntualizza la Corte, è comportamento sufficiente per legittimare l’accertamento induttivo ex articolo 39 DPR 600/73, in quanto, come i giudici di legittimità italiani hanno più volte precisato, “l'Amministrazione finanziaria può contestare l'effettività delle operazioni […] e ritenere indeducibili i costi […] indicati”, oltre che indetraibile l’IVA esposta, in coerenza con le indicazioni della Corte di Giustizia UE per quanto di sua competenza.
Stabilito che l’emissione di una fattura generica costituisce una grave irregolarità, evidenziato che colui che la contabilizza può subire una contestazione per decadenza della presunzione di veridicità del documento, rimane solo da chiarire quali sono le conseguenze in capo al contribuente che emette una tale fattura: le sanzioni per la violazione delle prescrizioni stabilite per i “documenti […] previsti dalle leggi in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto”, come le violazioni ex articolo 21 del DPR 633/72 in tema di fatturazione, sono quelle previste dall’articolo 9 comma 1 del Decreto Legislativo 471/97, le quali prevedono una sanzione amministrativa che va da mille a ottomila euro.